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Carmine Sorrentino

Sono napoletano, nato a piazza degli Artisti, nel quartiere collinare del Vomero, quello del “sacco” edilizio voluto dal democristiano Gava.
Ho vissuto nella città partenopea per tutti gli anni sessanta, settanta e per i primi due anni degli ottanta quando mi sono, un po’ per caso, trasferito a Roma.
Napoli mi ha dato il sangue e i muscoli, mi ha dato il colore e la voce, le vocali chiuse e le parole mozze. Napoli mi ha dato un “fisico bestiale”, resistente a molte avversità e capace di accogliere la gioia.
L’ho amata, l’ho maledettamente amata, fino a doverla rinnegare.
Avevo bisogno di essere altro da lei.
Avevo bisogno di un altro orizzonte, meno ampio e meno inquietante di quello aperto del mare.
Avevo l’esigenza di sfuggire all’incombenza di ciò che mi stava sulla mia testa, soprattutto in quelle stradine lastricate dove il sole fa fatica ad affacciarsi. Dopo i primi anni di Università, Scienze biologiche, mi sono trasferito a Roma per inseguire una passione di sempre, il teatro.

La cosa è andata così: mi trovavo a Città di Castello per un concorso letterario e là incontro Kaddour Naimi, un regista algerino che voleva mettere in scena, a Roma, niente poco di meno che Canti di Maldoror di Lautreamont.
Ne resto folgorato e quando lui mi propone di fargli l’aiuto regista per tre settimane, non ho nessuna esitazione, chiudo baracche e burattini e mi ritrovo a vivere nella Capitale.

Il lavoro va per le lunghe, da tre settimane diventa sei mesi e inoltre sono ormai coinvolto nello spettacolo anche come attore.
Finito lo spettacolo, ne inizio un altro e poi un altro ancora per ritrovarmi prima studente di teatro alla Maieutica, poi borsista al Teatro Studio e allievo di Nanni Loy ad un corso di sceneggiatura.

Anni meravigliosi, travolgenti, anni in cui arriva anche il tanto desiderato amore!
Lavoro al mitico Teatro La Piramide (quello gestito da Memè Perlini) con Francesco Capitano, poi al teatro dell’Orologio con Caterina Merlino.
Insomma, frequento quello che all’epoca era considerato l’off romano, erede della scuola degli anni settanta.
Accanto alla passione per il teatro mi tiene sempre compagnia la scrittura.

Dall’86 mi impegno nei centri anziani della periferia sud-orientale di Roma e nei Punti verdi per bambini di Fiumicino e Palidoro come ideatore e coordinatore di progetti che sperimentano l’utilizzo delle tecniche teatrali nelle attività ricreative degli anziani e dei bambini.
Da queste esperienze nascono due libri, “Bel moretto sono vecchia” e “Alberi Parlanti”, più un video.
Roma, però come Napoli, mi diventa stretta, così faccio armi e bagagli e mi trasferisco a New York, dove frequento, dal 90 al 92, corsi di regia cinematografica alla NYU e di regia televisiva alla School of Visual arts. Faccio anche il baby sitter e insegno Italiano ad un famoso scrittore di gialli.
Tornato da NY, mi disilludo subito di poter lavorare in televisione. Devo darmi da fare e così inizia la mia avventura nel mondo dell’arte contemporanea, esperienza che durerà un bel po’ di anni e che mi darà grandi soddisfazioni.

Dal 2008 mi dedico alla scrittura. Anzi, mettiamola così, la scrittura da amante diventa finalmente consorte!
Sono felice? Non so, ma comunque sono sempre alla ricerca della felicità.
Amo il cibo salato più di quello dolce. Amo la poesia così come gli animali in generale. Sono innamorato, in particolare, di una bassotta nana. Sono un lettore vorace da sempre, ma devo avere una sindrome che mi fa scordare tutto ciò che leggo. La lettura, quando ero bambino, è stato il mio primo vero viaggio e il viaggio, inteso sia verso mondi esterni a me che in universi interiori è ciò a cui non posso proprio rinunciare. Per amor suo ho vinto i miei attacchi di panico.
Piuttosto sono disposto a sacrificare a vita anche il caffè.

Ho tante paure, ma riesco ad essere molto coraggioso nelle avversità. Non ho chiusure se non verso la violenza e l’idiozia.
Ah, dimenticavo, in età adulta mi sono laureato con lode in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, presentando una tesi sulla messa in scena di Bob Wilson de “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett.

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